📌 PSICOLOGIA E FALSI MITI

Questo articolo nasce dal mio intento di chiarire il ruolo dello psicologo e, più in generale, di spiegare cosa accade in una relazione terapeutica. 

Molto spesso, mi capita di ascoltare pensieri surreali sulla mia categoria, del tipo: “Ho sognato che gli alieni mi rapivano: sono pazzo?”, oppure la più famosa di tutti che, almeno una volta nella vita, qualsiasi psicologo si è sentito dire: “Non ti guardo negli occhi perché altrimenti mi analizzi”. Perché queste fantasie associate alla psicologia?

Indubbiamente i media hanno avuto un ruolo peculiare in questo: film in cui una psicoterapeuta sabota la relazione del proprio figlio insieme a una delle sue pazienti, programmi TV in cui la protagonista assoluta è la macchina della verità e mi fermo con gli esempi, che potrebbero essere molteplici. Credo anche, però, che alcuni di questi pregiudizi si siano consolidati negli esseri umani anche a scopo difensivo, della serie: “Preferisco credere che lo psicologo abbia una formuletta magica preconfezionata piuttosto che pensare di dovermi mettere in discussione”.

Dunque proviamo a vedere alcuni dei falsi miti più radicati e legati al mondo della psicologia e della psicoterapia e alla figura dello psicologo e/o psicoterapeuta. 

#1_Psicologia è magia. Quante volte mi son sentita dire: “Ma riesci a capire come sono fatto solamente da ciò che ti scrivo?”. 


Dunque… facciamo chiarezza: la professione dello psicologo è regolamentata dalla L. 56/89 e si occupa di tutto ciò che concerne la prevenzione e la promozione del benessere nel singolo, nel gruppo, nella comunità.
Lo psicologo non è un supereroe. E voi, forse, state pensando: “eh ma a volte ci azzecca davvero!”. Beh questo perché, attraverso lo studio ma soprattutto il tirocinio e la pratica nel tempo, è particolarmente attento anche e soprattutto alla comunicazione non verbale e alla prossemica che, insieme all’empatia, consentono una comprensione complessiva del soggetto. 


#2_Che andare dallo psicologo equivalga a essere una persona disturbata, ahimè è uno stereotipo diffuso.


Spesso, chi prova sintomi di ansia/sentimenti di malinconia/temporanea incomprensione del periodo che si sta vivendo o comunque di come affrontarlo, tende o a vergognarsi e a negare ciò che sta passando oppure sminuisce il tutto.
Perché questo accade?
Perché quando si parla di sofferenza psicologica, spesso si associano ad essa termini come fragilità, debolezza, insicurezza; dunque ammettere di poter avere la necessità di consultare un esperto della salute mentale può far emergere vissuti, appunto, di vergogna o di stranezza.
Io penso proprio che sia il contrario: oltre a essere un grandioso atto di coraggio, chiedere ad un esperto rappresenta anche il segno che state funzionando bene! La sofferenza è un segnale che bisogna intervenire, che le modalità finora adottate evidentemente non sono sufficienti. Andare da uno psicologo/psicoterapeuta è indice di buona conoscenza ed ascolto di se stessi, con i tempi e i modi giusti.
Non nascondiamo la polvere sotto il tappeto, siamo più combattivi di quel che crediamo: a piccoli e produttivi passi.


#3_Ho tanti amici, parlerò con loro…

Avere un amico e/o un compagno pronto ad ascoltarci e a supportarci, rappresenta sicuramente una grande risorsa ed è fonte di sicurezza: questo può dare un valore aggiunto alla vita di ognuno di noi. 
È necessario, però, essere consapevoli che questo ascolto non sostituisce un sostegno psicologico e non va inteso come una bacchetta magica per eventuali situazioni patologiche.
Dove finisce il compito dell’amico e dove inizia quello dello psicologo? Quale è il confine?
Un amico conforta fornendo un parere che, per definizione, non può essere disinteressato: proprio perché coinvolto in modo attivo, con emozioni e sentimenti nella vita di chi gli chiede un consiglio, l’amico fornisce dei pareri che partono da punti di vista interni alla situazione stessa. 
Lo psicologo, invece, oltre alla conoscenza delle modalità adeguate per la gestione di specifiche situazioni di disagio, è in grado di comunicare al paziente un punto di vista diverso (non necessariamente corretto) che consenta di approcciarsi alla realtà diversamente; e lo fa attraverso un punto di vista il più possibile esterno, obiettivo e lucido. 
Per fare ciò, risulta necessario non essere immersi nella vecchia realtà, trovarsi in un ambiente neutro e a-giudicante.
Questo discorso vale anche per chi ha amici psicologi ovviamente 🙂


#4_Altro tema “caldo”: perché parlare dei fatti miei con un estraneo? Del resto “i panni sporchi si lavano in casa”, no?



Se per alcune circostanze può avere senso circoscrivere le questioni nel privato della propria cerchia familiare/amicale, questo non può valere proprio per qualsiasi cosa.
Vivere un periodo di particolare sofferenza, difficoltà decisionale, conflitto intra o interpersonale, non rappresenta un peccato né tantomeno una vergogna; può essere utile e liberatorio rivolgersi ad un “occhio ed orecchio esterno ed estraneo” che, attraverso un attento ascolto empatico e ad un bagaglio di competenze specifiche in ambito emotivo-relazionale, può rappresentare una “guida” nell’esplorazione delle cause sottostanti e nell’elaborazione di nuove e più funzionali strategie.
È la relazione che si mantiene tra il paziente e lo psicologo, a rendere il processo neutrale, agiudicante e dunque oggettivo e professionale. 
Il terapeuta non giudica né censura e mantiene una riservatezza assoluta riguardo a ciò che viene raccontato dal paziente, anche perché esiste il “famoso” segreto professionale!
Non facciamo dei gossip rispetto a ciò che ci viene detto in seduta! 🙂


#5_”Vado in terapia per raccontare i fatti miei ad un estraneo e IN PIÙ deve anche costarmi un capitale!”



Precisiamo un punto fondamentale: per ciascun professionista, possono esserci tariffe diverse che variano anche a seconda della prestazione richiesta (valutazione neuropsicologica, terapia di coppia, terapia individuale, terapia familiare, etc). Laddove sussistano condizioni economiche svantaggiose, inoltre, esistono agevolazioni di prezzo previste da consultori familiari, dal Servizio Sanitario Nazionale o da strutture convenzionate; occorre informarsi bene sui servizi offerti proprio territorio.
Chiediamoci che importanza dare al nostro benessere mentale. 
Spesso, seppur troviamo costoso un intervento specialistico per la cura dei nostri denti o una visita ginecologica, stringiamo i denti e pensiamo: “eh ma ne va della mia salute, lo devo fare anche se sarò costretta a rinunciare a qualcosa.” Perché questo pensiero non scatta immediatamente quando si tratta della nostra ansia o di una fobia sociale o di un malessere interno?
Forse perché sono malesseri meno tangibili ed oggettivizabili, questo può spingerci dunque a rimandare o a ridimensionare la questione.
Andare in terapia non è un evento ma un processo, che in quanto tale richiede costanza, attenzione, motivazione, messa in discussione.

#6_“Chi lascia la strada vecchia per quella nuova sa cosa lascia… ma non sa cosa trova!”.


È con questo proverbio che voglio introdurvi questo falso mito, e sapete perché? Perché dietro questa affermazione del “non cambierò mai”, così perentoria e risoluta (e che sento spesso, spessissimo), percepisco tanta paura.
Il cambiamento spaventa perché, anche se alcune risposte comportamentali che adottiamo sono disfunzionali e ne siamo consapevoli, ci rassicurano perché… sono prevedibili. Eh già, che paradosso!
Ma se pensiamo a priori che cambiare è impossibile semplicemente perché “si è fatti così”, veniamo meno alla responsabilità verso noi stessi, sottovalutandoci non solo in potenza ma anche in atto.


#7_“Visto da vicino nessuno è normale”, Franco Basaglia



Aleggia spesso il duplice e dicotomico pensiero che essere un esperto della salute mentale debba necessariamente presupporre o l’essere dei supereroi indiscussi, esenti dall’ansia, dagli scoppi di ira improvvisi e da qualsiasi parvenza di fragilità emotiva o, tutto il contrario, essere “strani”, sicuramente delle persone fuori dalle righe. Della serie “se riesci a lavorare in questo settore, non puoi essere da meno neanche tu!”.
Vi svelo un segreto: anche gli psicologi sono esseri umani, e per fortuna aggiungerei.
Anche gli psicologi hanno paure, insicurezze e desideri; possono scappare anche a loro le parolacce quando si arrabbiano; possiedono zone d’ombra e punti di forza, due braccia, due gambe e, come chiunque, hanno le proprie particolarità. 
È possibile e altamente probabile che la scelta di intraprendere questo percorso formativo e accademico sia il frutto di particolari motivi, sicuramente personali e non generalizzabili all’intera categoria in toto. —
E adesso vi chiedo: pensare che la persona scelta affinché ci ascolti e ci guidi, possa essere fragile e vulnerabile alla sofferenza, come tutti del resto, ci spaventa o ci rassicura?


#8_”Non sai quanto sei forte finché essere forte è l’unica scelta che hai.”



Partiamo dal fondamentale presupposto che non nasciamo supereroi dunque riconoscere in se stessi parti di fragilità, non rappresenta un minus (anzi, aggiungerei). Detto ciò, la psicoterapia mira alla consapevolezza e alla conoscenza di sè e della propria realtà di vita. 
L’intervento avviene attraverso una serie di incontri con il professionista, da voi scelto; incontri che hanno lo scopo di interrogarvi, mettervi in discussione e – perché no? – promuovere dei cambiamenti, laddove auspicabile ed efficace.
Se ci fermiamo un attimo a riflettere, chi decide di iniziare un trattamento psicoterapeutico dimostra a se stesso di essere una persona capace di prendersi cura di sè, dotata di una salda maturità emotiva e consapevole di aver bisogno di un aiuto in più.
{E se qualcuno vi addita di essere persone deboli, voi rispondete: “e quindi?”. Vi autorizzo io. 😎}


#9_”Ho bisogno di qualche consiglio: andrò dallo psicologo così mi dirà cosa fare”. Riusciamo a sfatare questo falso mito?


Perché lo psicologo non dà consigli? 
1. Innanzitutto uno psicologo non dà consigli perché di fatto si attiene a quanto stabilito dal Codice deontologico, in particolare dove si specifica che lo psicologo è tenuto ad astenersi dall’imporre il suo sistema di valori: se “consiglio” a un paziente di prendere una determinata scelta o di fare (o non fare) una cosa, di fatto lo indirizzo verso un aderimento ai miei schemi mentali e ai miei obiettivi, dunque il consiglio in questione potrebbe rivelarsi inadatto per quella specifica persona. 
2. In secondo luogo, dare quel consiglio in quel momento potrebbe, oltretutto, essere inutile perché il paziente potrebbe non essere in grado di pensarlo e accoglierlo. 
Pensiamo a dei bellissimi abiti: ce li regalano e vorremmo indossarli, ma non sono della nostra taglia, in quel momento non sono gli abiti che fanno per noi.
3. Infine, se veramente lo psicologo desse consigli, non farebbe il bene del suo paziente, anzi rischierebbe addirittura di essere controproducente perché si sostituirebbe a quest’ultimo, col rischio poi che il pz si consideri incapace di muoversi nel mondo in modo autonomo.
E allora cosa fate? 
Nell’ambito terapeutico, contribuisce allo sviluppo sia di nuove lenti, dalle quali osservare se stesso, sia di nuove abilità per risolvere in modo funzionale i piccoli problemi quotidiani, ma anche la messa a frutto di risorse che possiede e che forse ignora.
Si impara, insieme, ad ampliare il proprio campo di possibilità in termini di azioni, emozioni, pensieri, relazioni ma anche ad accogliere e accettare ciò che non può essere cambiato.
L’obiettivo ultimo è che il paziente riesca proprio a fare meno di quei consigli che all’inizio chiedeva e possa imparare a camminare sulle proprie gambe, consapevole che può farlo.
Dunque sarebbe opportuno chiedersi ed esplorare, insieme al paziente, la motivazione per cui questi non riesce da solo a decidere cosa fare (o non pensa di poterlo fare.

#10_”Un processo terapeutico, sai quando inizia ma non sai quando finisce!”

Per concludere, l’ultimo falso mito riguarda l’eccessiva lunghezza di un processo terapeutico. È necessario specificare che ogni situazione è diversa dalle altre, ogni singolo caso ha le sue dinamiche e complessità e, in quanto tale, necessita di un intervento specifico.

Inoltre, molto dipende anche dall’orientamento del terapeuta prescelto: difatti, all’interno di ciascun orientamento, si possono utilizzare tecniche differenti e questo si può declinare in una diversità nella frequenza settimanale e nella durata complessiva della terapia.

E voi, cosa ne pensate? Spero che questa lettura sia stata piacevole. 🙂

DOTT.SSA PSICOTERAPEUTA
LUISA CATALANO

Ascolto empatico, dialogo costruttivo, consapevolezza di sè.

Informazioni

Telefono: 389 1891185

Email: luisacatalano@libero.it

Indirizzo: Via Duchessa Jolanda 16, Torino

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